Giacomo Serpotta visse e lavorò a Palermo dalla fine del Seicento fino al 1732, anno della sua morte. Nacque, infatti, il 10 Marzo1656 nel quartiere della Kalsa. Giacomo era "figlio d'arte", infatti, il padre Gaspare era uno scultore di un certo talento che aveva realizzato le statue della Maddalena e dell'Addolorata conservate all'interno della Cattedrale. Iniziò con l'"Oratorio di San Fedelio" (1678) la sua lunga attività di decoratore in stucco d'interni di edifici sacri nella città di Palermo, che viveva sotto i Borboni un periodo fiorente delle arti, grazie al loro mecenatismo. Tra le sue opere più alte ricordiamo le decorazioni degli oratori di Santa Cita, del Rosario a San Domenico, di San Lorenzo e la chiesa di San Francesco d'Assisi. Il Serpotta lavorò molto anche ad Alcamo.
La personalità del Serpotta sovrasta di gran lunga quella, pur notevole, degli artisti siciliani del suo tempo; i suoi rilievi, che si dilatano sulle pareti degli edifici come ramificazioni sinuose e sensuali, riflettono solo in parte i motivi della scultura barocca, ma l'interpretano in chiave assolutamente personale ed inedita con un gusto che prelude già chiaramente allo stile rococò. I suoi famosi Teatrini, vere e proprie nicchie di grande profondità ed elevata complessità, rappresentano un elemento innovativo e geniale che ha cambiato il volto delle decorazioni a stucco nel periodo barocco innovandone il linguaggio formale. Mirabili ed esemplari sono sia quelli dell'Oratorio del Santissimo Rosario in Santa Cita, in cui vengono ripercorsi i misteri gaudiosi e dolorosi, quelli altrettanto straordinari anche se mutilati da furti e atti di vandalismo, dell'Oratorio di San Lorenzo, incentrati questa volta sulla vita dei santi Francesco e Lorenzo e quelli straordinari dell'oratorio del SS. Rosario in S. Domenico, opere della sua maturità, ove il dialogo tra i dipinti dei misteri del rosario e le sue nobildonne raffiguranti le virtù diventa una riflessione di altissimo livello teologico, completato in alto dalle scene dell'Apocalisse, mediate dal gioco gioioso dei tre putti per mistero.
L'arte scultorea di Giacomo Serpotta si fonda essenzialmente sulla tecnica dello stucco, una miscela di grassello di calce e gesso, utilizzata a Palermo fino alla seconda metà del '600 per decorare parti minori di altari e cappelle e i riquadri a rilievo delle volte. Il vero e proprio stucco che dà forma ad un ornamento, volto e movimento ad una figura è un sottile strato rapidamente plasmato su una massa di materiale costituita da un'armatura di legno e fili metallici, il tutto tenuto insieme da calce e sabbia. La difficoltà di questa tecnica, accentuata dalla veloce essiccazione dell'impasto, che non lasciava margini d'errore all'esecutore, e l'assoluta padronanza di essa da parte del Serpotta rendono ancora più evidente la maestria dell'artista. Egli apportò una fondamentale innovazione, consistente nella cosiddetta "allustratura", cioè uno strato finale di grassello e polvere di marmo atta a dare più lucentezza e candore alle sculture.
Gli stucchi degli oratori di Serpotta sembrano arrampicarsi sulle pareti e tra le finestre e sono profusi sulla parete d'ingresso creando per chi guarda uno spettacolo drammatico e intimo, che è al contempo vicino e lontano, reale e fantastico, come fosse un sogno. Questa maniera di organizzare lo spazio, l'immagine e la forma, suggerita dall'estrema semplicità dell'ambiente da decorare e delle fonti di luce, è novità del tutto inedita per Palermo. In Serpotta è facile intuire reminiscenze berniniane e del Barocco romano in generale, che l'artista avrebbe assorbito attraverso le numerose incisioni circolanti in Sicilia. L'adesione all'arte barocca è in tal senso totale nell'artista, che ripropone nelle sue opere i temi fondamentali: abbandono del rigore classicista nella strutturazione dei rapporti, struttura e decorazione, organizzati non più in base a regole geometriche e armoniche di ascendenza vitruviana ma sulla scorta di intuizioni interiori. In tal senso i favolosi e irreali panneggi serpottiani, retti in volo da putti alati, distribuiti senza apparente ordine su pareti di oratori e chiese, rendono conto di tali ispirazioni, che si coniugano brillantemente in uno stesso partito decorativo, con figure di classica sobrietà.
I putti non sono semplici elementi figurati di corredo atti, ad esempio, a reggere strumenti e simboli. Essi sono i coprotagonisti della rappresentazione sacra. Gli spensierati infanti trovano un proprio ruolo centrale nella poetica dell'artista. Sono attori, soggetti nella scena. Teneri, paffuti, ingenuamente consapevoli, sembrano giocare interpretando a loro modo gli episodi evangelici dei Misteri. Sdrammatizzano ciò che può esservi stato di doloroso nel viaggio che ha condotto attraverso il sacrificio di Cristo alla salvezza dell'uomo. Tutto vuole richiamare il sorriso. È un mondo che si rinnova, che esce dalle tenebre e gioisce del magnifico creato. La luce si espande nel bianco degli stucchi. Il dramma si volge in gloria.